Da un po’ di tempo in qua - parlo di molti mesi, ormai - ho notato che sui social si torna a parlare sempre più spesso di tecnologie che pensavo fossero morte e sepolte da decenni: audiocassette, lettori CD/DVD, vinili, fotocamere Polaroid, Commodore 64 e via discorrendo. Post, storie e reel su questi argomenti un po' vintage stanno tornando tra i main topic di molti content creator. Si tratta di contenuti postati a volte da autori giovanissimi, che negli anni ‘90, quando queste tecnologie erano diffusissime e utilizzate da chiunque, non erano nemmeno nati.

Che cosa c’è dietro questo rinnovato interesse? È senz’altro un fenomeno passeggero, su questo non si discute. Ma cosa nasconde, davvero, nel profondo?

Nostalgia o bisogno reale?

È innegabile che la nostalgia giochi un ruolo importante. Gli anni ‘90 evocano ricordi di un’epoca in cui la tecnologia era tangibile: inserire una cassetta nel walkman, masterizzare un CD con la propria playlist, scattare una foto e vederla svilupparsi davanti ai propri occhi. Queste esperienze avevano un valore emotivo che il digitale non riesce quasi mai a replicare.

In molti di noi, che abbiamo una certa età ma che non siamo per niente boomer, queste vecchie tecnologie evocano quindi una buona dose di nostalgia. Nei più giovani, invece, accendono una curiosità per una dimensione che non hanno mai conosciuto ma di cui colgono alcuni importanti aspetti positivi: l'assenza di ansia da diffusione incontrollate e incontrollabile di contenuti personali; la possibilità di produrre e conservare contenuti da condividere solo fisicamente con le persone di cui ci fidiamo di più; l'idea che certe cose siano collocate in un punto preciso dei nostri spazi personali e non chissà dove nel cloud.

Alla ricerca della tangibilità

Nell’era del cloud e dello streaming, molti di noi sentono prepotentemente la mancanza del possesso fisico dei propri beni. Avere tra le mani un vinile o una Polaroid offre una sensazione di concretezza e proprietà che i file digitali non possono dare. Questo desiderio di tangibilità è misurabile concretamente anche nel mercato: le vendite di vinili sono in costante aumento da un decennio, e nel 2021 sono stati raggiunti quasi 40 milioni di dischi venduti negli Stati Uniti, con un fatturato che supera il miliardo di dollari.

Il ritorno di tecnologie vintage non è solo un fenomeno commerciale, ma un elemento chiave anche nella narrativa cinematografica e televisiva. Basti pensare a Stranger Things, dove le audiocassette, i walkie-talkie e le biciclette senza GPS non sono semplici oggetti di scena, ma veri e propri simboli di un’epoca in cui la comunicazione era più fisica e autentica. La serie ha conquistato il pubblico grazie anche alla sua capacità di evocare quella sensazione di “avventura reale” che oggi sembra smarrita nella società digitale. I ragazzini non condividono messaggi vocali o coordinate via smartphone, ma si perdono nei boschi e si parlano tramite walkie-talkie, alimentando un immaginario nostalgico e affascinante.

Un altro esempio è la serie Lost, che ha sfruttato l’uso di tecnologie obsolete come i vecchi computer con interfaccia a riga di comando e le bobine audio. Questi strumenti trasmettevano un senso di isolamento e di lotta contro il tempo, evocando un’epoca pre-internet dove le informazioni non erano a portata di clic, e ogni dettaglio andava decifrato lentamente. Le scene in cui i personaggi interagiscono con macchinari analogici, tra fruscii e suoni meccanici, amplificano il senso di mistero e creano un legame emotivo con lo spettatore, che percepisce quella tecnologia come qualcosa di stranamente familiare e concreto.

Film come Super 8 di J.J. Abrams rendono omaggio addirittura agli anni ’80, dove i protagonisti utilizzano cineprese a pellicola per girare film amatoriali. La scelta di questo dispositivo non è casuale: è un simbolo di creatività grezza e pura, lontana dalle app di montaggio rapide e preconfezionate di oggi. La pellicola racchiude un senso di cura e unicità che amplifica il potere del ricordo.

Privacy e controllo dei propri dati

Viviamo poi in un’epoca in cui la privacy è costantemente minacciata, se non addirittura calpestata. Le nostre foto, i nostri documenti, le nostre conversazioni sono spesso archiviati su server di terze parti e vengono analizzati, scansionati e classificati costantemente per finalità commercial, esponendoci di fatto a moltissime (potenziali) violazioni.

Il ritorno, anche solo come desiderio utopico, alle tecnologie analogiche rappresenta in questo senso anche una forma di ribellione contro questa prevaricazione delle nostre vite private: una foto stampata o una cassetta registrata restano nel dominio personale, lontano da occhi indiscreti.

Il fascino dell’unplugged

La vita oggi è caratterizzata da una connessione permanente. Il desiderio di disconnettersi, di vivere momenti senza notifiche o interruzioni digitali, sta spingendo molti a riscoprire il piacere di attività analogiche. Ascoltare un vinile, guardare vecchie foto stampate o giocare con gadget degli anni ‘90 offre un’esperienza più autentica e rilassante.

Alcuni dei gadget in cui mi sono imbattuto di recente risultano inaspettatamente nelle wishlist di un numero crescente di consumatori, senza distinzioni significative di eta.

Ecco alcuni esempi:

Lettori di audiocassette: aziende come TEAC e TASCAM continuano a produrre lettori di audiocassette e masterizzatori CD di alta qualità, rivolgendosi sia agli appassionati che ai professionisti del settore audio.

Amazon.it : Registratori a cassette

Giradischi con lettore CD: dispositivi che combinano la possibilità di ascoltare vinili e CD, rispondendo al desiderio di un’esperienza d’ascolto tangibile.

Amazon.it : Giradischi con lettore CD

Fotocamere istantanee: marchi come Polaroid e Fujifilm hanno rilanciato modelli di fotocamere istantanee, permettendo alle nuove generazioni di sperimentare la magia della fotografia analogica.

Amazon.it : Fotocamere istantanee

Gadget anni ’90: prodotti come il Tamagotchi o i giochi da tavolo dell’epoca stanno vivendo una seconda giovinezza, grazie all’interesse sia dei nostalgici che delle nuove generazioni.

Il Commodore 64, icona dell’informatica domestica

Non si può parlare di nostalgia tecnologica senza menzionare il leggendario Commodore 64. Lanciato negli anni ’80 ma rimasto popolare fino ai primi anni ’90, questo home computer è diventato un simbolo di creatività, apprendimento e intrattenimento. Il suo fascino andava oltre i giochi a 8 bit: per molti, il Commodore 64 era una porta d’ingresso al mondo della programmazione e della sperimentazione. Inserire un’unità a nastro e attendere che un programma si caricasse significava vivere un’esperienza di pazienza e ritualità che oggi sembra impensabile, in un’epoca dominata dalla velocità del “tutto e subito”.

Negli ultimi anni, il Commodore 64 è stato riscoperto e celebrato con progetti come il “C64 Mini”, una versione moderna e compatta che ripropone i giochi originali in un formato plug-and-play.

Ma non è solo una questione di giochi vintage: è la testimonianza di un’epoca in cui la tecnologia era meno passiva. Le persone non si limitavano a consumare contenuti, ma spesso smanettavano, scrivevano righe di codice BASIC o modificavano i file audio. Questo senso di attiva partecipazione al mondo digitale ha lasciato una traccia indelebile, tanto che il Commodore 64 viene oggi ricordato non solo con affetto, ma come una metafora di un rapporto più diretto e “artigianale” con la tecnologia.

In un certo senso, il Commodore 64 incarna perfettamente quel bisogno di riappropriarsi del controllo sulla tecnologia, un messaggio che, nel 2025, sembra più attuale che mai.

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