Qualche giorno fa l’Europa ha fatto i conti con il blocco informatico di diversi aeroporti: migliaia di viaggiatori a terra, code interminabili e un intero settore paralizzato per ore. Questo tipo di incidenti sono destinati ad aumentare progressivamente sia in termini di intensità che di ampiezza. Sono parte integrante della nuova strategia di “guerra fredda digitale” in cui le ritorsioni tra Paesi si combattono a colpi di cyber-attacchi, spesso diretti a infrastrutture critiche e aziende cruciali, ma via via destinate a colpire il maggior numero possibile di realtà, comprese le piccole e medie imprese.

Sempre più spesso, le stesse tecniche usate contro i grandi player vengono riversate su aziende piccole, considerate facili bersagli perché meno protette e spesso molto più impreparate. Un’azienda con un singolo server mal configurato, una rete interna esposta o una macchina industriale collegata in rete senza difese può trasformarsi infatti nella porta d’ingresso per un attacco devastante.

La domanda quindi è: cosa può fare una piccola azienda per non farsi travolgere?

Vediamo insieme come, con un approccio strutturato e un insieme di buone pratiche, è possibile ridurre drasticamente i rischi.

1. Aggiornamenti costanti di tutto

Sembra banale, ma è la misura di sicurezza più trascurata e allo stesso tempo più efficace. Ogni software, dal sistema operativo al gestionale, dal browser al programma per la fatturazione elettronica, può contenere vulnerabilità. Quando i produttori rilasciano aggiornamenti, spesso includono patch che chiudono falle di sicurezza già note e sfruttate dagli attaccanti.

Ignorare un aggiornamento significa lasciare aperta una porta di casa sapendo che i ladri hanno già la mappa per entrarci. E non riguarda solo i PC: router, firewall, server, stampanti di rete e persino i macchinari industriali connessi (PLC, CNC, IoT) devono essere costantemente verificati e aggiornati.

Il processo corretto non è fare “update quando capita”, ma avere una procedura regolare e pianificata:

  • schedulare aggiornamenti automatici dove possibile;
  • monitorare i bollettini di sicurezza dei fornitori;
  • testare le patch in ambienti controllati prima di applicarle ai sistemi di produzione critici;
  • documentare ogni aggiornamento per garantire tracciabilità e compliance.

Un sistema aggiornato non è invulnerabile, ma è immensamente più difficile da violare rispetto a uno trascurato.

2. Backup sicuri, testati e dislocati geograficamente

Fare il backup è fondamentale, ma non basta “avere una copia” dei dati: ciò che conta è che sia davvero sicura e ripristinabile in caso di incidente. Troppo spesso le aziende scoprono di avere backup corrotti, incompleti o, peggio, infettati dallo stesso malware che ha colpito i sistemi originali.

Ecco i principi chiave per renderli affidabili:

  • Automatizzare il processo: i backup devono essere pianificati e schedulati, non affidati alla memoria di qualcuno.
  • Cifrare i dati: così, anche in caso di furto del supporto o dell’accesso al cloud, i file rimangono illeggibili.
  • Testarli regolarmente: un backup non verificato è un salto nel vuoto. Ogni trimestre andrebbe fatta una simulazione di ripristino.
  • Segregazione dei dati: i backup non devono essere sempre online nella stessa rete dei sistemi primari, altrimenti un ransomware li colpisce insieme.
  • Ridondanza geografica: avere copie in sedi o datacenter diversi (on-premise, cloud, off-site) protegge anche da eventi fisici come incendi, alluvioni o blackout.

La regola d’oro è il famoso 3-2-1: almeno 3 copie dei dati, su 2 supporti diversi, con 1 copia sempre off-site.

Con un backup solido e dislocato, un attacco informatico, un guasto hardware o una calamità naturale non significano la fine dell’operatività aziendale: i dati possono essere ripristinati e l’attività può ripartire rapidamente.

3. Segmentazione della rete

Uno degli errori più frequenti nelle piccole e medie imprese è avere un’unica rete “piatta” dove tutto comunica con tutto: PC degli uffici, server aziendali, stampanti, smartphone collegati in Wi-Fi e persino macchinari industriali connessi a Internet. In questo scenario, basta che un solo dispositivo venga compromesso perché l’attaccante abbia libero accesso a tutto il resto.

La segmentazione della rete è la soluzione: consiste nel creare “zone” separate e controllate, in cui ogni sistema può comunicare solo con ciò che è strettamente necessario. È come costruire compartimenti stagni in una nave: se si allaga una sezione, il resto rimane protetto.

Alcuni esempi pratici:

  • Separare rete uffici e rete produzione: il PC di segreteria non deve avere accesso diretto al PLC della linea di montaggio.
  • Wi-Fi ospiti isolato: mai permettere che smartphone personali o dispositivi di clienti si colleghino alla stessa rete dei sistemi aziendali.
  • Accessi controllati con firewall interni e VLAN: permettono di decidere chi può vedere cosa, riducendo la superficie d’attacco.
  • VPN per accessi remoti: niente porte aperte su Internet, ma ingressi sicuri e monitorati.

Un attaccante che compromette un PC di un dipendente, in una rete segmentata, troverà davanti a sé muri digitali che rallentano o bloccano l’avanzata. È un principio semplice ma potente: ridurre la libertà di movimento dell’aggressore significa guadagnare tempo prezioso per accorgersi dell’attacco e reagire.

4. Controllo degli accessi

In troppe aziende le credenziali di accesso sono ancora gestite in maniera superficiale: password deboli, account condivisi, vecchi utenti mai disattivati. Questo equivale a lasciare le chiavi di casa sotto lo zerbino.

Il controllo degli accessi significa stabilire chi può entrare, dove e con quali permessi. Non tutti devono avere le stesse autorizzazioni: un impiegato amministrativo non ha bisogno di accedere ai macchinari industriali, così come un tecnico di produzione non deve avere libero accesso ai dati contabili.

Le regole fondamentali sono:

  • Autenticazione a due fattori (2FA): per email, VPN, CRM, ERP e qualsiasi sistema critico. Non basta la password, serve un secondo fattore (token, app, SMS).
  • Gestione centralizzata delle credenziali: soluzioni come Active Directory o sistemi IAM (Identity Access Management) aiutano a controllare chi accede e quando.
  • Principio del minimo privilegio: ogni utente deve avere accesso solo alle risorse strettamente necessarie al suo ruolo.
  • Disattivazione tempestiva degli account inutilizzati: quando un collaboratore lascia l’azienda, il suo accesso deve essere revocato subito.
  • Password robuste e uniche: niente date di nascita, niente “123456”, niente riciclo delle stesse password su più servizi. L’uso di un password manager è ormai imprescindibile.

Un sistema di accessi ben gestito riduce drasticamente la superficie di attacco e previene scenari frequenti come il furto di identità digitale o l’uso improprio di credenziali dimenticate.

5. Formazione del personale

La sicurezza informatica non è fatta solo di firewall, antivirus e password complesse: il fattore umano rimane l’anello più debole. La maggior parte degli attacchi parte da un’email di phishing, un allegato infetto o un link ingannevole: basta un clic sbagliato per aprire le porte all’attaccante.

Per questo la formazione del personale è una delle misure più efficaci e allo stesso tempo più trascurate. Non serve che tutti i dipendenti diventino esperti di cybersecurity: ciò che conta è sviluppare consapevolezza.

Alcuni esempi di buone pratiche da diffondere:

  • Riconoscere un’email sospetta: controllare mittente, link e allegati prima di aprirli.
  • Non usare chiavette USB non autorizzate: possono contenere malware in grado di infettare la rete aziendale.
  • Segnalare immediatamente anomalie: un PC rallentato, finestre che si aprono da sole, email inviate senza saperlo… ogni segnale va comunicato al referente IT.
  • Gestione sicura delle password: niente condivisioni su foglietti o chat, uso di password manager quando possibile.
  • Consapevolezza dell’ingegneria sociale: non sempre l’attacco arriva da un hacker, spesso da una telefonata o da un finto fornitore che chiede “dati urgenti”.

La formazione deve essere continua e pratica: simulazioni di phishing, workshop periodici, pillole informative. Un collaboratore che sa riconoscere una trappola digitale è un vero firewall umano che protegge l’intera azienda.

6. Monitoraggio costante

Una rete aziendale non si protegge solo con buone regole: serve anche un occhio sempre vigile. Troppi attacchi informatici restano invisibili per settimane o mesi, permettendo agli aggressori di muoversi indisturbati, rubare dati e preparare danni ancora maggiori.

Il monitoraggio costante significa avere sistemi che osservano e registrano tutto ciò che accade nei dispositivi e nelle reti aziendali, pronti a segnalare comportamenti anomali.

Alcuni esempi pratici:

  • Log centralizzati: raccogliere i registri di sistema in un unico punto per poterli analizzare e correlare.
  • Alert in tempo reale: configurare notifiche automatiche in caso di accessi sospetti, tentativi falliti ripetuti, traffico di rete anomalo.
  • Strumenti di intrusion detection (IDS/IPS): software e appliance che rilevano tentativi di intrusione e, in alcuni casi, li bloccano.
  • Controllo del traffico di rete: identificare se dati sensibili stanno uscendo verso server sconosciuti.
  • Health check proattivi: monitoraggio delle prestazioni di server e applicazioni per accorgersi subito di rallentamenti che possono essere la spia di un attacco in corso.

Anche le piccole aziende possono adottare soluzioni semplici e accessibili: dai servizi cloud che centralizzano i log ai software open-source che inviano allarmi via email o app. L’importante è non affidarsi al caso: scoprire un attacco subito fa la differenza tra un disservizio temporaneo e un disastro aziendale.

7. Piano di risposta agli incidenti

Per quanto ci si prepari, bisogna essere realistici: prima o poi un incidente capita. Non esiste sicurezza assoluta, e pensare di essere immuni è l’errore più grande. La differenza tra un’azienda che sopravvive e una che crolla sta tutta nella rapidità e nella lucidità con cui reagisce.

Un piano di risposta agli incidenti (Incident Response Plan) è la guida operativa da seguire in caso di attacco informatico, guasto critico o perdita di dati. Non deve essere un documento teorico scritto per la compliance, ma un manuale pratico e conosciuto da tutti i soggetti coinvolti.

Gli elementi essenziali:

  • Team di risposta: sapere chi fa cosa. Non serve un reparto IT interno numeroso: basta definire chi è il referente tecnico, chi comunica con clienti e fornitori, chi prende le decisioni.
  • Procedure di contenimento: isolare i sistemi compromessi senza bloccare tutta l’azienda (ad esempio spegnere un server infetto, ma lasciare attiva la produzione).
  • Comunicazione chiara e rapida: con dipendenti, clienti, partner e, se necessario, autorità competenti (es. Polizia Postale in Italia).
  • Ripristino dei servizi: utilizzare i backup testati per riportare l’operatività alla normalità nel minor tempo possibile.
  • Analisi post-incidente: capire come è avvenuto l’attacco, quali vulnerabilità sono state sfruttate e quali azioni correttive servono per evitare che accada di nuovo.

Un piano di risposta agli incidenti non elimina i rischi, ma trasforma il panico in azione coordinata, limitando i danni economici, reputazionali e operativi.

Check-list pratica per ogni azienda

Tutto bello, ma come si traduce in azioni concrete la protezione dai cyber-attacchi?

Spesso le aziende, soprattutto le più piccole, si sentono disorientate: da dove si parte? quali sono le priorità? cosa è indispensabile e cosa può aspettare? Per questo ho preparato una check-list essenziale che ogni imprenditore o responsabile IT può usare subito per verificare il livello di sicurezza della propria azienda e capire quali aree richiedono un intervento immediato.

  • Aggiornamento regolare di sistemi e software
  • Antivirus/EDR installato e attivo su tutti i dispositivi
  • Backup giornalieri automatici, cifrati e testati almeno ogni 3 mesi
  • Segmentazione della rete (uffici / produzione / IoT separati)
  • Accessi protetti con 2FA e gestione centralizzata delle credenziali
  • Policy chiare per l’uso di dispositivi personali (BYOD)
  • Firewall configurato con regole restrittive
  • Monitoraggio di log e traffico di rete con alert automatici
  • Formazione annuale anti-phishing per dipendenti
  • Inventario dei dispositivi connessi (inclusi macchinari industriali)
  • Piano di risposta agli incidenti documentato e testato
  • Assicurazione cyber valutata in base al settore e al rischio
  • Test di sicurezza periodici (penetration test / vulnerability assessment)

Provate ad applicarla alle vostre aziende e, se volete, fatemi sapere che cosa ne è venuto fuori.

Non possiamo più permetterci di sottovalutare la cybersicurezza. Gli attacchi non sono più “eventi rari” ma la quotidianità di un mondo sempre più interconnesso. Chi si prepara oggi, domani avrà un vantaggio competitivo enorme, non solo in termini di continuità operativa, ma anche di reputazione verso clienti e partner.

Condividi questo post